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milioni di persone muoiono ogni anno per cause collegabili alla carenza o alla
cattiva qualità dell’alimentazione. Le zone colpite sono molte, tra queste il
Guatemala. In questo paese l’80% dei bambini e delle bambine
indigene sotto i 5 anni soffre di seri problemi alimentari. Da ogni paese del
mondo qui arrivano volontariamente dei missionari. Una di questi è Carmela
Attanasio.
Dopo essere nata e vissuta in Italia dopo
essere stata professoressa di scuola media, Carmela o meglio Lillina, come
vuole essere chiamata lei, diventa missionaria e decide di andare
periodicamente in Guatemala per aiutare la comunità fondata dal figlio.
Ogni volta che va in Guatemala quale situazione Le si
presenta?
Quella che vedete nelle foto. Le persone vivono in case con una struttura
lignea coperta da buste di plastica. Quelli che se lo possono permettere vivono
in case con i tetti fatti di lamiera. Entrambe le abitazioni sono molto poco resistenti
e tanto meno confortevoli. Bisogna anche considerare che materiali come la
plastica o la lamiera mantengono il caldo all’interno delle abitazioni, se così
vogliamo definirle, non permettendo la circolazione dell’aria e causando in
esse un aumento della temperatura, che in media è di 35°C. Questi abitacoli si
trovano solitamente nei pressi di una discarica. In questo spazio enorme le
persone buttano la spazzatura. Le persone per sfamarsi frugano nella spazzatura
alla ricerca di qualcosa da mangiare. Come possiamo notare di conseguenza la
situazione igienica è molto critica.
I
volontari offrono latte in polvere mischiato con l’avena, poiché quest’ultima
gonfia lo stomaco e attutiscono i morsi della fame. Nonostante
ciò ho visto diverse persone svenire per strada a causa del digiuno senza
essere soccorse da nessun medico. Infatti in una zona grande quanto il Lazio
c’è un solo ospedale e la sanità è a pagamento. Inoltre nel caso in cui una
persona venisse ricoverata deve provvedere alla propria assistenza poiché non
ci sono infermieri.
Quali possono essere secondo lei
alcune soluzioni per il futuro?
Per
sconfiggere la fame nel mondo bisogna cercarle nel proprio io e nel proprio
cuore: educare i giovani delle nostre generazioni al senso della gratuità ma
anche al senso della responsabilità personale nei confronti di queste
popolazioni perché solo capendo che ognuno di noi può fare qualcosa, si può
mentalizzare le generazioni future al discorso della giustizia e di un’equità
sociale.
Come possiamo contribuire noi
dall’Italia?
Si
potrebbe fare un gemellaggio con una delle missioni perché un solo nostro euro,
può servire a sfamare decine di persone. È inutile continuare a parlare della
fame nel mondo in generale perché di fronte a questo problema siamo tutti
pronti a fare il “mea culpa” però poi concretamente non sappiamo come
intervenire. Non dobbiamo comportarci come Kaino che alla domanda di Gesù
“Dov’è tuo fratello?”, ha risposto “ che per caso sono io il guardiano di mio fratello?” perché ognuno
di noi è responsabile dell’individuo che ci vive accanto. Non bisogna essere
indifferenti perché l’indifferenza non porta ad alcuna soluzione.
Cosa ne pensa delle grandi
organizzazioni come la Fao, l’Unicef o la World Food Programme? Secondo lei
fanno qualcosa di concreto? Oppure è solo una faccia diffusa dai media?
La
prima cosa che mi viene da dire è “Boh”. Certo quando entro alla Fao e vedo
tutto il lusso di marmi e stanze bellissime, mi viene subito spontaneo pensare
“ Questa gente si preoccupa davvero della fame nel mondo?”. Mi viene da fare un
confronto con il vescovo del Petèn che lungi dal vestirsi con la porpora e in pompa magna, è un uomo semplice che vive
da solo, si pulisce la casa da solo, si cucina da solo e magari ti riceve in
canottiera tutta rattoppata da lui perché vuole essere vicino ai poveri e
condividere l’esperienza degli ultimi. Certamente può darsi che perlomeno
riescano ad attirare l’attenzione su certi problemi, però personalmente
preferisco dare i miei soldi ad alcuni missionari che sicuramente li useranno
nel modo migliore.
Martina Poppa, Lucrezia Tosolini, Gianmaria de Salazar
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